«Immagina che cosa vuol dire vivere in un campo dove si bruciavano 10 mila persone al giorno, col fetore di carne umana che ti perseguita giorno e notte. Immagina i prigionieri di Auschwitz, di Treblinka, di Mauthausen, uomini e donne che hanno assistito impotenti alla morte dei loro genitori, delle loro mogli, dei loro figli, dei loro parenti. Mi dirai: ma come si esce da quell’inferno? In quali condizioni? Semplice. Un uomo che è stato nel Lager non esce più dal campo. Un uomo è sempre là».
Una delle pagine più nere, che la storia recente dell‛intera umanità possa ricordare, è senza dubbio lo sterminio di circa sei milioni di ebrei, avvenuto durante la seconda guerra mondiale ad opera della follia razziale di Adolf Hitler.
Spesso tale massacro viene indicato con il termine Olocausto, ma questo vocabolo è inesatto, in quanto indica un sacrificio volontario; come ad esempio l‛usanza indiana di ardere la vedova sul rogo del marito morto (proibita dagli inglesi nel 1829), letteralmente significa “holos=totale kaustos=bruciato”. Mentre il termine corretto è “Shoah”, con cui si ricorda la “soluzione finale”, ossia lo sterminio perpetrato nei confronti del popolo ebreo.
È bene precisare comunque che questa immane tragedia non è stato solo “nazisti contro ebrei”, ma intransigenza contro i tutti i diversi: Testimoni di Geova, Zingari, Anarchici o Comunisti, Malati mentali e Omosessuali.
tratto da L’OLOCAUSTO
(vecchio disegno ispirato dal capolavoro di Joe Kubert "Yossel")
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